CineArte on line 2007 - 213 - page 33

DEDICATO AI FEDELI DELL’
HOMO SAPIENS
di Vittorio Di Giacomo
Due episodi di cronaca apparentemente distanti fra di loro anni luce, in realtà convergenti
verso un concorde spiraglio di libertà immune da ogni condizionamento – provenendo il primo
dall’oscura provincia italiana, il secondo dalla vertigine di un’America estrema, votata per
scelta di vita alle meraviglie presenti e future del mondo elettronico – hanno avuto virtù di
addolcire, grazie alla loro carica positiva, l’umor nero dei superstiti fedeli dell’
homo sapiens
,
minacciati dalla inconsulta dittatura dell’
homo digitalis
.
L’occasione del primo episodio è l’incontro non fortuito, nei locali del carcere di Bollate,
in Lombardia, di un folto gruppo di detenuti colà in custodia, con Riccardo Muti, maestro del
più aereo dei linguaggi d’arte, la musica: napoletano di buona tempra, uso ai trionfi di diretto-
re d’orchestra della
New London Philarmonica
, della
Philadelphia Orchestra
, della
Scala
.
L’incontro nasceva dalla richiesta dei detenuti di “fare musica” nei locali del carcere, e della
reciproca offerta del musicista (al di fuori di qualsiasi protocollo, come di ogni sussiego di
natura scolastica) di quel supplemento d’anima, del quale i detenuti avevano avvertito l’urgen-
za riparatrice. Il susseguente ascolto di composizioni romantiche ottocentesche (Schumann,
Chopin, Schubert), eseguiti da Muti ricorrendo ad un pianoforte di fortuna, ha ottenuto in lui
di poter deporre senza negarla la severa compostezza della propria immagine, per aprirsi senza
riserve alla dirompente passione musicale che accende le sue facoltà d’interprete esecutore. E
gli accenti liberatorî – memore Muti del dostoevskiano appello alla
bellezza che salva
– tra-
sformando il chiuso spazio carcerario di Bollate in un lembo di cielo, hanno dato vita ad un
dialogo evento, intimo e collettivo al tempo stesso testimone di superstite autenticità umana,
espressa fuori dalle righe. Come coronamento finale, pronunciato “alla buona”: l’impegno di
Muti a rinnovare il dialogo nel segno della musica che liberando salva, dentro e fuori degli
spazi claustrali di un carcere.
E non importa
– ha concluso il Maestro –
se non ne capite nien-
te, perché ciò che conta è quel che la musica vi dice personalmente, le atmosfere che vi susci-
ta
: a dispetto dei super competenti.
Il secondo episodio di cronaca, in arrivo dagli
States
, è legato all’uscita sul mercato libra-
rio di un saggio fra l’ironico e il provocatorio dal titolo
Tu non sei un gadget
(
You are not a
gadget
, New York 2009). Autore Jaron Lanier, cinquantenne newyorkese, pianista e composi-
tore diviso fra Oriente e Occidente, già pioniere di
Silicon Valley,
consulente emerito di
Microsoft, partecipe in gioventù, non a caso, del gruppo dei fondatori di
Second Life
(
Seconda
vita
, alla lettera): il gioco elettronico che, col passare del tempo, è divenuto per milioni di pro-
seliti una specie di seconda dimensione esistenziale, più vera di quella avuta in sorte con la
nascita e l’inculturazione di appartenenza.
Secondo molti, il presente saggio di Lanier è l’indice di un pentimento o, se non proprio di
un pentimento formale, quanto meno di una svolta – o se preferite di un significativo ravvedi-
mento – che ha tutti i caratteri di un ritorno all’origine con relativa presa di coscienza a favo-
re della interiore libertà dell’
homo sapiens
di tradizione umanistica; e una presa di posizione
contro gli eccessi dell’
homo digitalis
della società di massa.
Il saggio di Lanier nasce infatti dalla volontà di ricondurre entro argini di sicurezza una pras-
si, quanto si voglia ludica, che già segna, tuttavia, e ancor più segnerà, l’asservimento dell’uo-
mo comune sprovvisto di appropriate difese, agli automatismi del computer, designato trionfa-
tore in ragione del numero crescente dei suoi
supporters
. I maggiori indiziati di una incipien-
te perdita dell’Io autentico sono per l’appunto riconoscibili nei praticanti dell’
Avatar
– termi-
ne indiano designato ad indicare le incarnazioni del dio – dato in uso (tramite
Second Life
) al
computer, per significare una seconda identità esistenziale, con le connesse relazioni sociali e
ambientali, che rischia di assegnare a ciascuno di noi, in un clima massificato ad oltranza, la
qualifica di adepto irrecuperabile: clone standardizzato, polifunzionale, intercambiabile.
Tu
non sei un gadget
, raccomanda il Lanier di oggi. In altri termini: non sei il frammento di una
macchina, ma un’anima: salvane le prerogative, non cedere al miraggio delle “magnifiche sorti
e progressive” deprecate dal Leopardi. Sii te stesso, dopo esserti riconosciuto.
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