CineArte on line 2007 - 213 - page 260

SALVATORE DI GIACOMO FRA PAROLA E IMMAGINE
di Mara Pacella
Tra le correnti caratteristiche della stagione culturale in corso, fa
spicco il programmatico ostracismo riservato alla memoria del
tempo trascorso, remoto e prossimo: fatte salve rare eccezioni. Tra
queste figura – in relazione all’acuita attenzione dei contempora-
nei verso l’intera gamma degli aspetti visivi – l’attitudine a rievo-
care gli episodi otto-novecenteschi di una pronunciata curiosità, da
parte degli uomini di lettere, al tema e alla pratica del rapporto fra
la parola e l’immagine; particolarmente l’immagine fotografica.
Di codesta attitudine dei contemporanei, esiste un documento
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poco conosciuto, autore il pioniere della comunicazione tecnologi-
ca, Marshall McLuhan. Richiestogli un parere sul tema, era il
1977, McLuhan individuava gli immediati antecedenti della foto-
grafia nel simbolismo, indicandone le prerogative nella
figura
priva di sfondo.
Giunta la fotografia a riempire automaticamente
codesto vuoto, sempre a giudizio di McLuhan, il simbolismo
moriva, lasciando a sua volta il posto alla
corrente letteraria della
coscienza,
ossia del viaggio interiore, influenzato soprattutto dalle teorie di Freud.
In tali condizioni, la fotografia veniva ad assumere il compito di descrivere le atmosfere e
il viaggio esteriore. In tale nuovo clima, dal nostro massmediologo descritto nelle sue linee
generali, si sviluppò da parte degli scrittori europei, la pratica di realizzare fotografie in pro-
prio, a complemento delle personali esigenze fantastiche. È il caso di Emilie Zola e prima e
dopo di lui di Hugo, Baudelaire, Gautier, Rimbaud, Strindberg e Carroll. In Italia, a porsi in
evidenza nella pratica della fotografia furono soprattutto Belli,Verga, Capuana, De Roberto,
D’Annunzio. Manca tuttavia dalla suddetta cerchia, lo scrittore che forse più di ogni altro ebbe
a praticare con metodo, varietà e continuità la fotografia: intendiamo Salvatore Di Giacomo.
Della imponente produzione artistica e letteraria di Salvatore Di Giacomo: la edita e l’ine-
dita, la diffusa e la rara, la dialettale e quella in lingua, mutevole era stata nei primi anni del
suo lavoro di scrittore la risonanza, e alterna la fortuna critica, fin quando l’unanime consacra-
zione del poeta lirico indusse ad includerlo nell’albo della letteratura nazionale. Rimasero tut-
tavia in ombra, a differenza di ciò che era avvenuto per i Verga e i Capuana, quello che possia-
mo definire il “fattore iconico” dell’immaginario poetico digiacomiano; per la precisione, la
cospicua mole dei disegni, degli schizzi, dei capricci grafici o “ghiribizzi”, così da lui definiti.
E, in aggiunta, tutti gli scritti (critici, storici, aneddotici) sulle arti figurative, sulla topografia
urbana e turistica, compresi gli sparsi e i frammentari: ossia quelli confluiti nel volume intito-
lato
Pittura napoletana dell’800
, pubblicato a Napoli nel 1922; sia, nello specifico, le due rac-
colte maggiori
Napoli, figure e paesi
e
Luci ed ombre napoletane
; e, in aggiunta, gli scritti sul-
l’arte di Domenico Morelli, Vincenzo Gemito, Gennaro Esposito, Edoardo Dalbono.
Tutto ciò, senza aver detto dell’ampia e svariata messe delle fotografie, di cui il Di Giacomo
figura a seconda dei casi l’autore, il suggeritore, il soggetto, il partner, il collezionista. Per con-
cludere: per quanto riguarda noi e la nostra rivista riteniamo che il profilo di Salvatore Di
Giacomo iconografo e iconologo, fornisca richiami sufficienti, agli storici e ai critici di profes-
sione, per riempire finalmente quella che ci sembra a tutti gli effetti un’arbitraria e poco com-
prensibile “dimenticanza”. Ciò soprattutto oggi che si parla tanto, e a sproposito, di un sostan-
zioso rilancio dei valori culturali di quella che fu la Capitale del Regno.
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. Lettera del 7 gennaio 1977 indirizzata al Signor Gul Seden Wines, coordinatore dei Programmi Culturali della RAI
Corporation. 1350 Avenue of the Americas, New York.
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