CineArte on line 2007 - 213 - page 81

IMMAGINE E SEGNO, RAPPRESENTAZIONE E TRASFIGURAZIONE
di Davide Zordan
Mentre l’animale fa corpo con la natura, l’uomo introduce tra sé e il cosmo tutte le forme di
mediazione che costituiscono la cultura. Attraverso l’utensile egli estende e migliora l’attività
manuale; con la parola riconosce e individua le cose; col disegno le raffigura e le fissa. La cul-
tura è rivelatrice dell’umano nell’uomo
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. Elementari o raffinati che siano, tutti gli strumenti
dell’elaborazione culturale svolgono la funzione di duplicare il mondo naturale in un altro
mondo, che ne è l’immagine. La cultura è una sorta di specchio convesso, che racchiude e sin-
tetizza per l’uomo la realtà sconfinata nella quale questi si trova immerso. Un museo, una
biblioteca, un cinematografo sono luoghi di cultura nella misura in cui, prima di tutto, segna-
no uno spazio ove si opera una sintesi della molteplicità dell’esistente. L’uomo è protagonista
di tale sintesi perché è dotato della funzione simbolica, di cui il segno è l’elemento base. Egli
si differenzia dalla natura in quanto ne ricrea una visione personale, che esprime secondo
modalità simboliche.
In questo processo di rappre-
sentazione e di integrazione
della realtà, l’esperienza arti-
stica ha sempre giocato un
ruolo sostanziale (anche se
non esclusivo
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). Tra le forme
d’arte, il cinema è poi quella
che sembra più idonea a rap-
presentare: esso offre un dop-
pio della realtà sorprendente-
mente fedele, captandone le
apparenze con tale accuratez-
za, che l’imitazione sopravvi-
ve talvolta all’originale, e ne
conserva la memoria
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.
Come ogni opera d’arte, il film offre un’immagine del mondo. Ma il fatto che la offra in
immagini, e immagini in movimento, provoca quel duplice effetto d’illusione che è proprio del
cinema. La rappresentazione che questi produce è altra rispetto a quella abilmente conquistata
da un artigiano con un colpo di pennello, o di scalpello. La rappresentazione cinematografica
è di per sé un fatto meccanico, che documenta e calca la realtà con esattezza necessaria. Il suo
valore artistico risiede altrove: non nella registrazione, ma nella trasfigurazione. «
Gli uomini
ha osservato Carl-Theodor Dreyer –
adorano riconoscere ciò che conoscono già. Al suo appa-
rire, la camera ha riportato una rapida affermazione perché essa utilizzava un procedimento
meccanico per registrare oggettivamente le impressioni dell’occhio umano. Questa proprietà
ha fatto la forza del film, ma se si vuol fare opera d’arte, essa è un handicap da superare
»
4
.
Se è vero dunque quanto affermato da André Bazin, riguardo all’effetto di realtà dell’imma-
gine fotografica e alla prepotente vocazione realistica del cinema
5
, questo dato riguarda anzi-
tutto il materiale grezzo col quale il cineasta lavora. Ma l’osservazione deve essere equilibra-
ta, simmetricamente, dalla coscienza che ciascuna delle fasi della realizzazione del film favo-
risce la metamorfosi dei dati consueti della percezione. La trascrizione della realtà su pellico-
la ne abolisce il rilievo e ne modifica i colori, l’inquadratura orienta lo sguardo in un modo
preciso, completamente diverso rispetto alla nostra abituale osservazione delle cose, e ancora
la fluidità dello sviluppo narrativo, il ritmo e il tempo dati alla vicenda, le scelte relative al
montaggio, la luce, il suono, la musica… insomma, più il cinema assimila il suo linguaggio
specifico, più tende a trascendere il reale.
Questo non significa, d’altra parte, che inquadratura, piano, montaggio, suono, scenografia
e luci siano gli strumenti utilizzati da un pensiero che si esprime attraverso lo schermo. Certo,
essi sono in qualche modo le modalità di incarnazione del pensiero, o meglio dell’intuizione
dell’artista
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, ma esse vivono di vita propria. A differenza della letteratura o del teatro, al cine-
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