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SOGGETTO SACRO E SOGGETTO RELIGIOSO
UNA DISTINZIONE DA FARE
Nel panorama universale dell’arte esistono opere la cui ragion d’essere, dal punto
di vista della forma, va ricercata nel valore autonomo della composizione. Opere
il cui autore sembra appagarsi del godimento del motivo iconografico preso di
per sé. Ci sono per contro opere che vanno ben al di là delle apparenze. L’arte
che le distingue trascende in tal caso i limiti naturali dell’artista uomo ed implica
di conseguenza l’occulta presenza, per così dire, dell’
invisibile
a sfondo del
visi-
bile
. Sono opere che presuppongono, per essere comprese, una ricerca
iconologi-
ca
di natura simbolica. A questa seconda tipologia d’arte appartiene in genere
l’opera d’arte sacra. E qui occorre tornare proprio alla varietà poc’anzi accennata
dell’operare artistico.
Parliamo allora di una “sacralità”, attribuita talora, senza le dovute distinzioni di
merito, ad una folta categoria di opere: un’attribuzione elargita con una motiva-
zione solo esteriore, in quanto semplicemente indiziaria. Ciò anche, ad esempio,
per l’abitudine di non volere (spesso, di non sapere) distinguere in concreto tra la
sfera del “sacro” in senso proprio, e la sfera del “religioso”. Se è vero infatti che
il più delle volte , in arte e fuori dell’arte, le due sfere del religioso e del sacro
collimano, è altrettanto vero che i due ambiti vanno distinti tra di loro per
l’accento che ne condiziona in qualche misura il significato.
Infatti il “sacro”, opposto al “profano” ( il quale è semplicemente, dal punto di
vista etimologico, ciò che avviene fuori del “
fanum
”, ossia del tempio), allude ad
una separatezza, alla
alterità
di una condizione umana che (oltre a presupporre
una manifesta finalizzazione strutturale e simbolica) propone strumenti oggettivi
d’intermediazione con il divino.
Per suo conto la categoria del “religioso” vede invece l’accento posarsi tanto sul
legame specifico che accomuna gli adepti, quanto, più semplicemente, su di una
condizione di fede vissuta e professata anche solo interiormente; o, quanto meno,
su di un’aspirazione all’infinito, all’assoluto, al trascendente.
Ne consegue, nell’ambito di ciò che ci riguarda, cioè del rapporto fra il cinema e
l’arte, che la qualifica di “arte sacra” possa giungere a coprire, per paradosso,
tanto l’esecuzione di un programma, solo perché conforme alla lettera della sua
fonte (la Bibbia in primo luogo); quanto la soggettiva ispirazione religiosa dell’
artista.
Le incertezze e le contraddizioni eventuali sono, in questo come in altri casi, im-
putabili all’insufficienza e agli equivoci della nozione di
soggetto
in arte: sacra o
profana che sia.
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