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IL “CORTILE DEI GENTILI”
Una data storica, a futura memoria, quella del 12
febbraio scorso, che ha visto l’assegnazione di
uno spazio ideale, reale e metaforico, di respiro
ampio, al proposito del
Pontificio Consiglio della
Cultura
– nella persona del suo Presidente, il
Cardinale Gianfranco Ravasi – di allestire (con il
concorso dell’
UNESCO
) nelle città di Bologna e
di Parigi congiunte in un asse ideale, una struttu-
ra multipla, aperta all’idea e alla pratica del dia-
logo (nel quale consiste la
comunicazione
, quan-
do sia genuina) fra due soggetti diversi, animati
entrambi dalla volontà di conoscersi e confron-
tarsi senza il sottinteso, reciproco proposito di
sopraffarsi.
Diamo la spiegazione del nome: “Cortile dei
Gentili”, desunto non a caso dall’analogo luogo
dell’antico tempio di Gerusalemme, al quale
Israeliti e Gentili, ossia pagani, avevano facoltà
di accedere liberamente.
La filosofia connessa a codesta antica e nuova istituzione è, quella d ichiaratamente espres-
sa, in ordine alla religione, dal Cardinale Ravasi:
L’incontro tra credenti e non credenti avvie-
ne quando si lasciano alle spalle apologetiche feroci e dissacrazioni devastanti e si toglie via
la coltre grigia della superficialità e dell’indifferenza, che seppellisce l’anelito profondo della
ricerca, e si rivelano, invece, le ragioni profonde della speranza del credente e dell’attesa del-
l’agnostico […].
Questo, però, non significa che ci si presenta …privi di qualsiasi verità o concezione della
vita
, prosegue nella sua presentazione dell’evento il Ravasi. Questi, aprendo il suo dire ad una
silloge figurata dell’episteme cristiana, sostiene infatti:
Ponendomi per congruenza sul territo-
rio del credere a cui appartengo, vorrei solo evocare la ricchezza che questa regione rivela nei
suoi vari panorami ideali. Pensiamo al raffinato statuto epistemologico della teologia come
disciplina dotata di una sua coerenza, alla visione antropologica cristiana elaborata nei seco-
li, all’investigazione sui temi ultimi della vita, della morte e dell’oltre vita, della trascendenza
e della storia, della morale e della verità , del male e del dolore, della persona, dell’amore e
della libertà; pensiamo anche al contributo decisivo offerto dalla fede alle arti, alla cultura e
allo stesso
ethos
dell’Occidente. Questo enorme bagaglio di sapere e di storia, di fede e di
vita, di speranza e di esperienza, di bellezza e di cultura è posto sul tavolo di fronte al “genti-
le” che potrà, a sua volta, imbandire la mensa della sua ricerca e dei suoi risultati per un con-
fronto […]. Da un simile incontro non si esce mai indenni, ma reciprocamente arricchiti e sti-
molati…Si deve, allora, affermare…che il confine, quando si dialoga, non è mai una cortina
di ferro invalicabile... Credenti e non credenti si trovano spesso sull’altro terreno rispetto a
quello di partenza: ci sono, infatti, come si suol dire, credenti che credono di credere, ma in
realtà sono increduli e, viceversa, non credenti che credono di non credere, ma il loro è un per-
corso che si svolge in quel momento sotto il cielo di Dio […]. È significativo che il Concilio
Vaticano II abbia riconosciuto che, obbedendo alle ingiunzione della sua coscienza, anche il
non credente può partecipare della Risurrezione in Cristo che
«vale non solamente per i cri-
stiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore invisibilmente lavora la
Grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti…» (
Gaudium et Spes
, 22).
Vittorio Di Giacomo
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